Multiservizi. Lettera aperta al sindaco di Frosinone

Caro Sindaco, le lavoratrici e i lavoratori della Frosinone Multiservizi sono qui a rivolgerLe un accorato appello per la difesa del posto di lavoro, del salario e del carattere pubblico dei servizi.

Vede, signor Sindaco, noi pensiamo che scendere sotto la soglia delle 750/800 euro mensili ha realisticamente lo stesso senso di perdere il lavoro. Come fare a sopravvivere con 500 euro mensili? Siamo anche stupefatti dal fatto che qualcuno abbia potuto pensare di avanzare una tale ipotesi.

Gli ex-lsu e la loro vicenda, di cui noi rappresentiamo un classico prodotto, vengono già dalla lunga disoccupazione o dalla chiusura di stabilimenti del nostro territorio, quindi con una età già avanzata e un percorso formativo già segnato. Tutti questi intrapresero una via di introduzione o reintroduzione nel mercato del lavoro attraverso le “politiche attive del lavoro”. Con le pressioni e la lotta per evitare la fine dei progetti, con un assegno mensile di meno di 500 euro, si è proseguito di proroga in proroga fino al 2006, quando una favorevole congiuntura, permise una soluzione per 150 persone su una società pubblica dove il centrodestra esprimeva l’amministratore delegato. Il salario salì a 800/850 euro; non era l’optimum ma finalmente si aveva una busta paga e qualche progetto di vita poteva iniziare o continuare più serenamente.

 

Invero i lavoratori auspicavano una soluzione di assunzione nell’ente locale, come logica voleva, ma il muro ideologico di opposizione alle scelte più economiche e più certe non poté essere scalfito del tutto. Fu costituita però una società a totale partecipazione pubblica che si pensava avrebbe garantito posto e salario nel corso almeno dei 60 mesi di contratti di servizio successivi.

 

Anche allora si parlava di cooperative e di esternalizzazione dei servizi pubblici. Dicemmo di no, come lavoratori e come cittadini. Il panorama di allora del privato che gestiva soldi e servizi pubblici per la collettività era tale da non auspicarsi questo tragitto. Gli esempi sono interminabili, e da allora la situazione non è certo migliorata, ma anzi fortemente peggiorata: il crollo verticale dei salari, fallimenti di imponenti soggetti, licenziamenti di massa, mancati pagamenti sono le caratteristiche che sempre più uniformano la gestione del privato “sociale” e non solo della nostra provincia. Per i cittadini, ad esempio, la gestione dell’acqua e dell’energia passata in mano ai privati ha peggiorato nettamente i servizi, i costi e le stabilità dei lavoratori.

La Frosinone Multiservizi contrariamente a quanto si crede ha indici di efficienza al di sopra del confronto con stessi servizi della pubblica amministrazione e dei privati. La Frosinone Multiservizi assicura i servizi in ogni modo con le stesse poste in bilancio nonostante i contratti di servizio non lo prevedano sempre; ha i dipendenti sotto inquadrati in quasi tutti i servizi con notevole risparmio dell’ente; ha un magazzino dove il materiale transita e vi ritorna, con il quale prova a porre fine a tanti sperperi di materiale, cosa che l’Amministrazione Comunale stenta a fare... Inoltre i singoli lavoratori spesso aiutano la pubblica amministrazione a espletare servizi e pratiche che la stessa non riesce a gestire, indossando al contrario, spesso, un ruolo utile all’immaginario dei colleghi dipendenti pubblici e alla popolazione meno attente di delega di responsabilità, inefficienze, errori, insolvenze che vengono attribuiti, tramite i singoli servizi e lavoratori, alla società invece che a chiare e ripetute disfunzioni dirigenziali comunali. Anche queste sono le ragioni per le quali si è scelta la strada della riduzione dell’orario di lavoro a 24 ore con corrispondente decurtazione del salario.

 

Certo in questi anni non sono mancati errori e storture. I più gravi tra questi risultano essere quelli della forte ingerenza politica/partitica dove si è liberamente imperversato senza far conto della sopravvivenza della stessa Società. Chi delle forze che “contano” in città non ha suggerito o posto direttamente lavoratori in grembo alla società? chi non ha ottemperato al controllo delle risorse che venivano utilizzate?  Non vi era forse un consiglio di amministrazione dove tutte le forze partitiche erano rappresentate? Eppure è stato “rosicchiato” l’80% del capitale sociale della società; i risparmi dettati da notevoli agevolazioni fiscali e dal forte intervento regionale sono stati utilizzati in pagamenti di astronomici redditi a personale e a incarichi esterni che non aveva nulla a che vedere con gli stabilizzati.


La società è stata posta in liquidazione. Ma le vere ragioni risiedono nelle insolvenze delle amministrazioni che non pagavano i servizi in tempo e per quello che dovevano. In testa quelle di centrodestra prima di Alatri, a conduzione Magliocca, e poi della Provincia. Eppure ancora oggi parte delle storture di cui sopra si perpetuano senza destare il minimo interessamento da parte degli enti soci.

In un momento di crisi generata da chi ci ha indebitato - e non sono responsabili i lavoratori  a 800 euro – oggi dovremmo sacrificarci sull’altare del pareggio di bilancio: salari, servizi, futuro, speranze, attività. Non ci stiamo! Noi pensiamo che la politica debba regolare l’economia e non viceversa. Si è avuto tutto il tempo di aprire un tavolo sgombro da preconcetti per andare incontro a soluzioni di così grande portata. Non è possibile, non è concepibile, non è nella tradizione di questo paese che da un giorno all’altro si neghi il diritto all’esistenza di centinaia di famiglie. Questa è forse la cultura del Presidente Iannarilli, oggi sconfessato dai suoi maggiori alleati, che ha lasciato decine di persone senza salario da un giorno all’altro. Noi abbiamo avuto il tempo, e ancora ne abbiamo, per una discussione franca e certa del futuro di una società e dei suoi lavoratori; società doveva essere il fiore all’occhiello della città ed è diventata una voragine, un disastro, una sofferenza, dove a pagare risulteranno essere coloro che non hanno fatto alcunché di male, che non si sono arricchiti, che non hanno tratto vantaggi politici, che non hanno fatto carriere.


Appunto sgombriamo il campo. Avviamo un tavoli per una ricognizione certa dei servizi, della loro utilità, della loro qualità, della loro efficacia ed efficienza; per il lavoro svolto in questi anni e del futuro che ci aspetta; per i soggetti interessati e delle loro condizioni lavorative e contributive, delle loro volontà. Scopriremmo così cose molto interessanti, molto utili alla gestione della vicenda senza traumi o sorprese catastrofiche. Forse ci accorgeremmo che potremmo utilizzare le risorse economiche meglio e soddisfacendo tutti.

 

Ma se si pensa, con queste poste in bilancio, di continuare a esternalizzare i servizi anche attraverso una società pubblica, non c’è futuro per i salari. Se si pensa di affidare a cooperative non c’è futuro per il lavoro. Quindi, assumendo un dignitoso salario e una certezza del futuro come elementi da cui partire: o le poste in bilancio rimangono tali con la società pubblica, oppure con le stesse poste dobbiamo coraggiosamente, finalmente, orgogliosamente, percorrere la strada del rientro nella pubblica amministrazione: la stabilizzazione in pianta organica dei lavoratori sarà possibile con risorse forse ancora minori dei €.2.500.000,00 previsti. Dopo 17 anni, di proroga in proroga, di incertezza in incertezza, di paura in paura, attendiamo un solo unico segnale. Altri non li comprendiamo, non li accettiamo, non sono proprio umanamente sostenibili.

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